L alluvione del 1952

Da circa un quarto di secolo il clima è mutato e le stagioni non raggiungono le punte termometriche, minime o massime, che si riscontravano in passato.
I meteorologi e gli studiosi di fisica del globo sono perplessi su tali fenomeni; qualcuno ritiene che siano determinati dall’oscillazione dell’asse terrestre, che periodicamente, a distanza di cicli ultrasecolari, provoca perturbazioni, altri non trovano spiegazioni attendibili; fatto sta, però, che l’uniformità delle stagioni è evidente (mai freddo intenso, mai caldo eccessivo) ed ha provocato e provoca ancora violente perturbazioni atmosferiche, con alluvioni rovinose, cui a memoria d’uomo non se ne ricordano di simili prima degli anni quaranta, almeno nelle nostre regioni.

Una di queste catastrofi della natura avvenne all’inizio dell’autunno 1952 e, certamente, sono ancora ricordati i gravi danni che la furia delle acque provocò in Liguria.
Per restare nell’ambito delle località da noi frequentate, l’alluvione provocò gravi ostacoli alla circolazione della strada statale n. 45 per la distruzione di diversi ponti. La strada risultò bloccata a Molassana, a Prato ed in modo veramente grave, a Montebruno, dove la circolazione fu riattivata soltanto per Natale.
Fontanarossa allora non aveva molti ospiti e la stagione già avanzata ne aveva ancor più ridotto il numero. Ma qualcuno c’era e, fra questi, la mia famiglia.
A Genova le notizie sulla Valle Trebbia e sui suoi collegamenti stradali giungevano frammentarie e confuse: si diceva che non era possibile andare oltre Torriglia (e tale località era raggiunta dopo alcuni trasbordi) e che i paesi interni, fin oltre Ottone, erano tutti isolati.
Frattanto trascorrevano i giorni ed urgeva il rientro in città della mia famiglia, per l’imminente apertura delle scuole. La situazione fu sbloccata dall’arrivo di un villeggiante da Fontanarossa, il quale attraversando il monte raggiunse Propata, dove era stato appena ripristinato il servizio automobilistico pubblico. Le notizie rassicuranti da lui portatemi e la possibilità di raggiungere Fontanarossa per la via da lui seguita, mi consentirono di partire per Propata e di raggiungere il paese attraversando il Monte Cavalla.
Tralascio le peripezie del viaggio in auto, con diversi trasbordi e mi soffermo, invece, sul percorso a piedi da Propata. Le spaccature causate dall’alluvione alla montagna avevano variato le condizioni ambientali e non era quindi possibile percorrere la mulattiera per «le case del Romano». L’unico accesso era possibile seguendo la cresta del monte ed in quella direzione mi incamminai. Di mano, in mano che mi avvicinavo al paese ed alle zone allora intensamente coltivate, apparivano evidenti i particolari del disastro: muretti crollati, coltivazioni sradicate, avallamenti e fenditure del terreno erano i segni terribili della furia degli elementi.
Vidi finalmente Fontanarossa nel sole che, per primo, sembrava curarle le ferite ricevute. Il paese, completamente isolato, viveva un periodo allucinante, che ricordava il tempo di guerra. Mancava la luce elettrica, le strade erano impraticabili e nell’unica bottega e nella trattoria era tutto razionato. Presso la fontana dell’acqua fresca si era aperto un burrone pauroso e patate ed ortaggi, divelti dalle acque galleggiavano nella melma, la cui densa coltre era penetrata persino nella chiesa parrocchiale.
Gli effetti del disastro erano particolar­mente evidenti dalla posizione panoramica della «Crocetta», con una terrificante visione dellabassavallata.
Ad Isola, presso il fiume, era stato divelto l’impianto del carrello per il transito sulla sponda sinistra, presso la mulattiera per Fontanarossa; pure scomparsi gli edifici del molino di Isola ed il filare di alberi presso gli stessi.
La Trebbia scorreva impetuosa con una portata da grande fiume continentale, trasportando alberi, masserizie e quanto incontrava nell’inondazione. Nella rapida corsa aveva solo risparmiato il ponte di Rovegno, perché subito sommerso, ma aveva demolito il costruendo ponte per Fontanarossa e in una svolta del fiume, presso Gorreto, aveva formato un grande lago che, per alcuni giorni, fece temere la distruzione dell’abitato.
Tornammo a Genova da Propata, con altri villeggianti, componendo una carovana di muli carichi di bagagli, attraverso la costiera del Monte Cavalla ed il valico sopra Rondanina.

A. F.

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