Fontanarossa, immagine della Madonna con il Bambino ricompare nella chiesa di Santo Stefano

La Chiesa cimiteriale di S. Stefano in Fontanarossa, Comune di Gorreto, risalta per evidente antichità ed arte. Un edificio di pregio, in stile romanico rustico, o addirittura anteriore, storicamente rilevante, ascrivibile ai secoli X/XI. La Parrocchia di Fontanarossa appartenne alla Diocesi di Tortona sino al 1954, anno del suo passaggio a Bobbio. Sappiamo che dipendeva dalla Pieve di Rovegno, Pieve ab immemorabili, con Ottone, Pievetta di Santo Stefano e Alpepiana, relativamente all’Alta Val Trebbia ed Aveto, territori tortonesi. Notizie storiche, circa Fontanarossa, si dilungano sulla nuova Chiesa, sorta al centro del paese, dedicata alla Madonna Addolorata. Poco o nulla dicono di rilevante sul passato della vecchia Chiesa di Santo Stefano.
La nostra Chiesa di Santo Stefano non può dirsi Pieve, ma di certo Chiesa molto antica, forse addirittura la primitiva parrocchiale di Fontanarossa. Come tante altre in Italia, parrocchiali o semplici Chiese rurali, elevate al centro di cimiteri (o meglio: con un’area cimiteriale che finiva per avvolgerle), erano col tempo, declassate in semplici Chiese Cimiteriali, conservando l’appellativo originario (Chiesa di S. Bartolomeo al cimitero di Ottone; per analogia: Chiesa di S. Stefano al cimitero di Fontanarossa).
Tradizione popolare, diffusa e condivisa, collega la Chiesa di Santo Stefano a non meglio definiti “Saraceni”. È storicamente provato che pirati ed avventurieri compirono scorribande nell’entroterra ligure, alla ricerca di schiavi e bottino. Lo scrivente proviene da Croce di Ottone, per via materna. Frequentando i pochi abitanti del microscopico borgo, a picco sulla Trebbia, oltre mezzo secolo fa, ascoltava racconti favolosi di “Saraceni” in combattimenti nei dintorni del Castello. Pirati e banditi saraceni erano dunque presenze inquietanti nella nostra valle?
Fontanarossa aveva avuto molta importanza nel sistema viario dell’Appennino medievale e moderno. Una mulattiera attraversava il borgo: movimenti e traffici; pellegrini, mercanti, milizie ed altro… tra Pavese, Alessandrino e Levante Ligure ivi facevano capo, ricevendo accoglienza e sostegno.
La parrocchiale dedicata alla Madonna Addolorata, all’interno del paese attuale, sorse più tardi, ex novo o in sostituzione di altra, diruta o demolita, ma posteriore (forse), alla Chiesa di Santo Stefano. Il culto della Madonna Addolorata, comincia a partire dall’ XI secolo, ma la sua diffusione si sviluppa ovunque in Europa dal XII1/X1V, sull’onda emotiva e liturgica dello Stabat Mater di lacopone da Todi e di nuove sensibilità spirituali, tipiche dei nuovi Ordini Mendicanti.

Recenti lavori di manutenzione straordinaria di consolidamento e restauro, sono stati eseguiti dall’Impresa Carenini Marco di Loco di Rovegno, sotto la direzione dell’Architetto Caterina Gardella, Soprintendenza di Genova; responsabile del procedimento il geometra Razzetti Claudio, tecnico incaricato dal Comune di Gorreto. A finanziare il restauro hanno partecipato, a varie riprese, la Fondazione Carige; La Soprintendenza con fondi di all’8xmillc; La Regione Liguria con somme di cui ai fondi Pi.Co. Tale circostanza, rimuovendo pellicole di intonaco più superficiale, ha consentito l’affiorare, sebbene molto sbiadita, dell’immagine della B.V. e del suo Bambino. Difficile, al momento, datare il disegno, oggetto di riflessione e studio. Il viso di Gesù Bambino appare molto espressivo, tra evidenti stupori di infantile umanità e riverberi di divina trascendenza. Come si intravvede dalla fotografia, la Madonna e il Bambino presentano corone di grandi dimensioni che fanno pensare a riferimenti stilistici bizantini.
A memoria d’uomo non se ricorda l’esistenza di affreschi, ma era consuetudine igienica nei secoli passati apporre nuovo strato di calce su precedenti: si disinfettava, purtroppo seppellendoli, possibili pericoli di contagio. Alcuni dipinti furono inghiottiti dalle tenebre e destinati a perenne oblio. Altri (pochi),riaffiorando in occasione di restauri e manutenzioni, vengono via via restituiti al culto e alla fruizione artistica, anche parzialmente, come a Fontanarossa.
L’immagine che appare miracolosamente dall’affresco di Santo Stefano, particella di un’opera pittorica andata perduta, non può rappresentare la Patrona di Fontanarossa. L’iconografia tipica della Madonna Addolorata, sempre la colloca ai piedi della Croce, nel pianto e nel dolore, al cospetto del Figlio crocifisso.
Nella reliquia iconografica giunta fino a noi la Madonna trattiene, invece, sulle ginocchia il suo Bambino, visualizzazione delle antiche scritture: “in gremio Matris sedet sapientia Patris” (Sulle ginocchia della Madre siede la sapienza del Padre). Si intravede, inoltre, un’aureola intorno a frammento di capo: un Santo in contemplazione della Vergine in gloria (Santo Stefano?). Compare anche particella di cartiglio con didascalia, purtroppo (per ora), illeggibile. Sarebbe importantissimo cogliere almeno qualcosa di compiuto: una sola parola può contribuire, per induzione, a ricomporre il tutto. Le modalità di approccio al sacro, tipiche dei secoli, attraverso richiami dottrinali, da parte di Istituzioni, fedeli e luoghi, talvolta, rendono possibile la percezione delle stesse epoche di realizzazione.
Il recupero dell’immagine della Madonna e del suo Bambino è un dono straordinario alla popolazione di Fontanarossa: una rappresentazione antica (antichissima?), della Beata Vergine torna visibile! La “gomma” terribile dell’oblio ha “cancellato” gran parte dell’affresco, ma non ha osato coinvolgere l’immagine della Madonna e del suo Bambino! E’ lecito pensare che gli antenati si siano inginocchiati spesso al suo cospetto, talvolta, supplici, nella disperazione e nel pianto, ma fiduciosi. Forse ponendoci in silenzioso ascolto, potremmo coglierne echi lontani, espressi da quel muro che racconta; da pietre ed intonaco che parlano.

Attilio Carboni

Si ringrazia il Sindaco di Gorreto, Sig. Sergio Capelli, per notizie, informazioni e supporto fotografico resi disponibili.

(Articolo tratto dal N° 21 del 16/06/2016 del settimanale “La Trebbia”) (Fotografie di Giacomo Turco e Sergio Capelli)

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