Una volta le castagne erano chiamate “pane d’albero”, ed erano una risorsa insostituibile per i contadini del nostro paese perché riuscivano, nei momenti difficili, a risolvere il problema dei pasti giornalieri, rendendoli più saporiti e sostanziosi.
Sul finire del secolo scorso Fontanarossa contava, con le frazioni, circa un migliaio di abitanti e la terra non bastava per sfamarli tutti. Allora si dissodarono i pascoli e si fecero piantagioni di castagno ovunque possibile e da allora questo frutto ha sfamato intere generazioni e ha rappresentato l’unica risorsa per tante famiglie. Il “frutto paziente”, come l’ha definito il poeta Attilio Bertolucci, ha bisogno di pochi interventi essenziali, come potatura e pulizia, due volte l’anno. I boschi, anche i più lontani, erano sempre tenuti puliti. Le castagne si raccoglievano nelle “cavagne”, si facevano seccare nella “gre” del “seccarezzu” oggi quasi scomparsi , che per risparmiare legna e spazio erano generalmente nelle cucine delle case.
Una volta seccate si pestavano in piccole quantità per volta dentro robusti sacchetti di canapa dalla forma allungata e nsaponati alle estremità, che forti giovani battevano ritmicamente su appositi tronchi di legno opportunamente sagomati , i cosiddetti “tacchi”, fino a staccare la pula dai frutti ; questi venivano accuratamente selezionati dalle donne in lunghe, ma allegre ore di lavoro attento e chiusi in ampi cassoni, i “bancà”, in attesa di consumarli o che i mercanti della pianura venissero ad acquistarli.
Le castagne si consumavano nei modi noti anche oggi, bollite (le “pelate” o i “balletti”) oppure arrostite (le caldarroste); essiccate invece per colazione si consumavano nel latte, con le castagne macinate si faceva una farina (o polenta) che entrava sovente nel menù settimanale.