Il restauro della chiesa di Santo Stefano in Fontanarossa a Gorreto

Si propone l’intervento di restauro e consolidamento in corso di conclusione della chiesa di Santo Stefano, collocata nell’area cimiteriale di Fontanarossa nel comune di Gorreto, a 938 metri di altitudine, significativa testimonianza materico-identitaria delle tecniche costruttive delle maestranze dell’alta val Trebbia ligure di influenza bobbiese (1), segnalata nei primi anni Duemila all’attenzione della Soprintendenza da parte di Tiziano Mannoni.
Il progetto è stato elaborato e diretto dalla Soprintendenza in collaborazione con l’ISCUM (arch. Patrizia Pittaluga) e con il DICCA dell’Università di Genova (ing. Stefano Podestà). L’intervento, che ha prediletto la logica della minima invasività e del riutilizzo di materiali locali, è stato rispettoso delle valenze materico-cromatiche delle pietre e degli inerti locali connotanti il nucleo, quale fontana rubea, per la particolare colorazione degli edifici in pietra.
L’intervento avviato nell’ultimo triennio è stato finalizzato alla conservazione del manufatto e all’arresto (2) dei meccanismi di degrado in atto, con l’obiettivo di ristabilire la piena fruibilità attraverso un progetto di consolidamento e miglioramento sismico della navata, delle coperture e della torre campanaria.
L’evangelizzazione nel territorio tra la pianura padana e il mare vide il sorgere di numerose celle a opera dei monaci colombaniani, poi divenute pievi monastiche, e di chiese campestri che per secoli furono essenziali centri di riferimento di culto e di aggregazione. Non si può escludere che anche in Fontanarossa, collocata su una via di valico tra la val Trebbia e la pianura padana, sia sorta una primitiva cappella assimilata poi tra i beni dell’abbazia di Patrania. Il collegamento tra le antiche abbazie di origine colombaniana, i borghi fortificati, i presidi di vetta e gli hospitali sorti a più riprese nella valle aveva assicurato al viaggiatore medievale siti di sosta e di rifugio ben definiti.
La chiesa (3) indicata comunemente come medievale, facente parte della più antica pieve di Rovegno costituita in epoca antecedente al Mille, è documentata nel Registro della Curia Arcivescovile di Tortona (4), datato 1523, che cita la chiesa di Santo Stefano tra gli edifici ecclesiastici sottoposti alla giurisdizione della pieve di Rovegno (5).
Da monsignor Goggi (6) è dichiarata, nella seconda metà del 1600 in Fontanarossa, la presenza di due luoghi di culto: una nuova chiesa voluta dal marchese Luigi Centurione nel paese e la vecchia «nel bosco» usata come cimitero.
Le analisi archeometriche svolte dall’ISCUM e stratigrafiche condotte preliminarmente ai lavori dal laboratorio della Soprintendenza confermano, sia da un punto di vista tipologico sia dall’osservazione delle tessiture murarie, una datazione anteriore all’epoca moderna. Sul prospetto nord la tessitura muraria è a corsi di conci sbozzati, legati da malta e la fase costruttiva precedente è visibile nella parte in basso a sinistra. Questa è caratterizzata da blocchi lapidei di maggiori dimensioni, sporgenti rispetto al filo di costruzione della facciata soprastante ed è riconoscibile per tutta la lunghezza del prospetto e in prossimità del campanile sino a circa due terzi dell’elevato.
I blocchi in pietra, che presentano una colorazione più scura rispetto a quelli sovrastanti, sono riconducibili all’epoca di costruzione della parte originaria del campanile.
È infatti simile la tecnica muraria, avente corsi regolari privi di scaglie interposte.
Sembra pertanto riconoscibile in questa porzione muraria la parte originaria della navata e della parte inferiore del campanile, mentre è chiaramente leggibile la posteriorità dell’elevato. Appartenenti a un intervento del recente passato sono invece le risarciture effettuate tra la fase originaria e quella successiva, e quelle di alcune fessurazioni venutesi a creare in seguito a fenomeni di dissesto (7). La differenza tra la fase originaria e quella successiva è leggibile anche nel campanile, con conci come precedentemente descritti nella parte bassa, mentre nella parte alta la tessitura ha blocchi dimensionalmente meno omogenei con presenza di scaglie che regolarizzano i corsi.
Nella parte mediana inferiore del campanile era ben visibile la fessura longitudinale venutasi a creare a seguito del cedimento dell’area di fondazione con corrispondenza nel prospetto ovest, dove addirittura la discontinuità si ramifica nella parte bassa. La patina chiara presente sugli elementi litici è dovuta alla presenza di licheni sulla superficie, maggiormente localizzati ove le condizioni climatiche sono loro più favorevoli (aree poco esposte all’irraggiamento solare).
Anche nell’abside sono individuabili le due differenti fasi, quella caratterizzata da blocchi sbozzati e posti in opera a contatto, cui si sovrappone la fase successiva che evidenzia blocchi meno regolari compensati dall’inserimento di scapoli e tocchetti.
Nella parte alta, in prossimità della linea di gronda, è chiaramente leggibile la posteriorità della parte superiore dell’abside rispetto al corpo centrale della chiesa. Tuttavia non si può escludere che la costruzione originaria non avesse l’abside, in quando il paramento murario, in corrispondenza dell’innesto con la navata, ha subito un rifacimento successivo. I contrafforti poco sporgenti dell’abside sembrano appartenere alla fase originale nella parte inferiore, per poi essere stati ripresi nella fase successiva in quella superiore. Da tali riscontri si può affermare che alla fase primitiva appartiene la parte inferiore del campanile quadrangolare e un lato della navata. Tale conferma si ha anche planimetricamente: l’accesso al campanile avviene dall’interno della navata mediante il varco che si inserisce nel muro settentrionale. Una fase intermedia è ascrivibile alla parte superiore del campanile e all’elevato dell’abside e della navata, così come il posizionamento delle catene trasversali collocate all’imposta della copertura.
Una terza fase, probabilmente coincidente con il rifacimento della copertura, è leggibile nel prospetto sud. Qui si individua una tessitura composta da pietre di piccole dimensioni e scaglie, celate alla vista dalla realizzazione di un piccolo cornicione a sguscia in malta di calce che accompagna la facciata alla copertura soprastante. Detto cornicione, tuttavia, è ancora visibile solo per brevi tratti, essendosi staccato in più punti dal supporto. A ridosso del prospetto sono state addossate le lapidi funerarie, celando così in gran parte il paramento murario inferiore. Con tutta evidenza, osservando i tessuti murari, si possono individuare almeno due nette fasi di costruzione. Infatti si può chiaramente distinguere l’apparecchiatura muraria della navata e del campanile, da quella dell’abside. Il primo tipo appare costituito da elementi omogenei messi in opera con l’impiego di malta di buona qualità e ancora in buono stato di conservazione.
Ciò rende tale paramento accostabile a tecniche in uso nel XII e XIII secolo. Tuttavia la particolare irregolarità delle bozze costituisce un elemento di assoluta singolarità.
Le bozze lapidee, infatti, sebbene presentino una certa regolarità nella disposizione dei cantonali, assumono un grado assai minore nello sviluppo del muro, producendo un andamento irregolare dei corsi che contrasta con la qualità dell’opera di sbozzatura. Un tipo di muratura del genere è riscontrabile in edifici di abitazione, ma risulta assai raro, almeno in Liguria, in edifici ecclesiastici. Per la muratura dell’abside, stratigraficamente posteriore a quello sopra descritto, gli elementi litoidi costituenti il paramento esterno appaiono disposti in maniera più casuale e con l’utilizzo di malta con minori caratteristiche meccaniche e di durabilità. La descrizione della guida del Touring (1983), che sembra verosimile, segnala la presenza di flebili tracce di decorazioni pittoriche. Infine si rileva che i manufatti lignei sono databili, su base stilistica, non successivamente al XVIII secolo.
La chiesa è già stata oggetto di due studi volti al restauro e al consolidamento, reperibili agli atti della Soprintendenza. A fronte di ciò si sono registrati alcuni lavori realizzati in tempi relativamente recenti, costituiti dalla messa in opera di alcune catene in ferro, cerchiature del campanile e l’apposizione di numerose lapidi funerarie all’esterno e all’interno della navata. Inoltre sono state effettuate, sempre in data sconosciuta, alcune pitturazioni interne dell’altare e dell’abside.
L’intonaco è costituito da una miscela di calce idraulica di colorazione ocra ottenuta probabilmente dalla cottura di un particolare calcare micritico marnoso presente anche come granuli di carica all’interno del medesimo impasto, inclusi di materia malcotta o di ghiaia aggiunta. Si notano clasti grandi fino a 5 mm. Gli inerti della sabbia sono prevalentemente costituti da calcareniti e calcari marnosi grigi, non mancano inserti scuri silicei.
Le analisi strutturali preliminari condotte dall’ing. Stefano Podestà della Scuola Politecnica di Genova hanno investigato il comportamento dell’edificio, avvalendosi di un repertorio di indagini analitiche, lo stato delle murature e delle fondazioni, sulla base anche di alcune verifiche eseguite precedentemente. In primo luogo sono state eseguite indagini sulle prestazioni della struttura della copertura, per verificare se la stessa fosse in grado di resistere a un aumento di carichi dovuto a un rifacimento del manto della stessa, sostituendo le tegole in cotto con le lastre in pietra, come era certamente in origine. Specificatamente, pur essendo evidente che la struttura avesse in passato sopportato tali carichi, si è valutato se lo stato della travatura lignea potesse non pregiudicare l’intervento e la compatibilità dell’eventuale riproposizione di una copertura in lose locali. L’analisi ha utilizzato test sulle travature lignee,
secondo il protocollo di ispezione UNI 11119: indagine Pilodyn per valutare la riduzione della sezione resistente e infine indagine con penetrometro da legno, sempre volta a valutare il comportamento statico delle travature, indagini a resistività elettrica.
La progettazione è stata effettuata dagli architetti della Soprintendenza Caterina Gardella e Mauro Moriconi. I lavori sono stati condotti da chi scrive a partire dall’anno 2011 (8). Gli interventi effettuati sono stati determinati dalla disponibilità finanziaria a valere sui fondi otto per mille di competenza statale e integrata con un ulteriore contributo della Fondazione Carige, relativamente alla torre campanaria. La conduzione dell’intervento ha previsto, in un primo otto di lavori, le opere provvisionali e preparatorie, le demolizioni e relativi smontaggi della copertura della navata, opere di consolidamento statico e miglioramento sismico, mediante un intervento puntuale nell’arco absidale e l’inserimento di tiranti alla sommità dei muri perimetrali, reintegrazione della struttura lignea e ripristino della copertura della navata. La copertura è stata realizzata in lose locali di recupero.
Il lotto successivo, realizzato con il recupero delle economie di gara, ha permesso il consolidamento della compagine muraria nei punti di maggiore criticità mediante la ricostituzione dell’unità muraria. Le pietre si presentavano, sia nella navata che nel campanile, collegate con giunti in malta (calce idraulica e aggregati) interessati da un differente stato di degrado a seconda dell’esposizione agli agenti atmosferici. Come evidenziato nei rilievi preliminari alcune parti hanno conservato praticamente intatto l’aspetto originario di connessione tra materiale litico e giunto, mentre in altre parti il rabboccamento è praticamente inesistente.
Pertanto nelle sezioni interessate da perdita di materiale, si è evidenziata una muratura priva di protezione da infiltrazione d’acqua.
In altri punti, invece, si sono determinate alcune fessurazioni verticali (lato est e ovest del campanile) causate da dissesti statici, che hanno allontanato i conci, indebolendo la muratura stessa e favorendo la penetrazione d’acqua all’interno. È stato pertanto necessario ripristinare la situazione corretta della tipologia originaria. L’operazione preliminare è stata un blando lavaggio delle facciate mediante il debole ruscellamento di acqua al fine di ripulire e bagnare il supporto.

Successivamente è stata predisposta una risarcitura dei giunti mediante la stesura di malta simile a quella esistente, sia come legante che come aggregato (previa analisi).
La malta così ripristinata è stata collocata almeno un centimetro all’interno rispetto ai bordi delle pietre, in modo tale da mantenere il caratteristico aspetto di paramento in pietra.
Sono stati inoltre ripuliti i bordi delle pietre dalla malta residua. La lieve differenza, comunque risultante tra le parti originarie e quelle realizzate, è indice di leggibilità coerente tra le differenti epoche di intervento.
Per ripristinare l’aderenza tra pietre e malta nelle parti interne allo spessore murario, si sono effettuate colature (mediante appositi ugelli) di malta sufficientemente fluida previa chiusura delle fughe interstiziali.
Sono state mantenute le buche pontaie presenti nelle murature dell’edificio principale e del campanile. Sul prospetto ovest, ove sono presenti brani del cornicione a sguscia in corrispondenza dell’imposta della copertura, è stata eseguita una pulitura blanda con ruscellamento d’acqua e una ripresa dell’intonachino finale. La finitura delle parti ex novo è risultata così riconoscibile, a distanza ravvicinata, dalla parte originaria. Grazie al contributo aggiuntivo della Fondazione Carige è stato possibile realizzare il consolidamento della torre campanaria. L’ambito dell’intervento, condotto dalla Soprintendenza con le proprie risorse tecnico-progettuali in tutte le fasi del procedimento, della progettazione e della direzione lavori, è stato condizionato dalla limitata disponibilità economica del finanziamento inizialmente di 156.000 €, oltre l’ulteriore importo di 50.000 € reso disponibile dalla Fondazione, che non permette a oggi la fruizione piena dell’edificio. La completa fruibilità sarà conseguibile solo dopo i restauri degli interni della chiesa e potrà costituire tappa significativa per la valorizzazione turistica di un ampio complesso di edifici presenti in alta val Trebbia e nel comune di Gorreto costituiti dal Palazzo Centurione, dall’edificio delle vecchie prigioni del palazzo detto dei Fieschi, oggi in abbandono, di rilevanti edifici ecclesiastici del vicariato di Bobbio, alta val Trebbia, Aveto e Oltre Penice, della diocesi di Piacenza-Bobbio, quali le parrocchiali di Santa Caterina e di Santa Maria in Fontanarossa oltre a un consistente e diffuso patrimonio di architettura rurale.

Caterina Gardella

(Tratto da “Quaderni di tutela e restauro” della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria)

Note:

(1) Tosi 1992-1993; Nuvolone 1996-1997, pp. 167-200.
(2) Gardella, Moriconi, Pittaluga 2012.
(3) Ferrero 2009.
(4) Rovegno 1920, pp. 6-9; Luppi 1973, p. 73; Ferrero, Franceschi 1998, p. 7; Ferrero 2002, pp. 193- 224; Casale 2007, pp. 15-22, 27-28.
(5) Il Registro della Curia Arcivescovile di Tortona, datato 1523, riporta l’elenco delle chiese della giurisdizione ecclesiastica di Rovegno: «Plebs S. Ioannis de Ravegno», nella quale si cita la «Eccl. S. Stephani de Fontana Rubea cum Eccl. S. Siri de Alpe», condotte da «Stephanum Campis». Riporta inoltre quali parrocchie «ab immemorabili» Casanova, Fontanarossa, Propata, Rondanina e Torriglia.
(6) Storico della Diocesi di Tortona. Goggi 1973; Goggi 2000.
(7) Si veda l’analisi stratigrafica di Patrizia Pittaluga sulla chiesa di Santo Stefano in Gardella, Moriconi, Pittaluga 2012.

(8) Impresa esecutrice Cooperativa Archeologia di Firenze.

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